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Conosci la storia (per nulla fantastica) del Pentcho? / 4

Ferramonti

Della permanenza in Calabria, a Ferramonti, rimane impressa la testimonianza (ristretta, asciugata e ritratta) del farmacista: “Mi sembrava di essere diventato un oggetto: ero io, il lenzuolo consunto che copriva il pagliericcio della branda; io, la borsa di cuoio che avevo riempito di ricordi e che mi faceva da scomodo cuscino; io, le scarpe che mi guardavano tristi e inoperose dal fondo del letto, chiedendomi se le avrei mai più calzate. […] Per questo ero diventato bravissimo nel restare immobile […]. Avevo persino imparato a respirare più piano, cautamente: quasi di soppiatto, per evitare che il dolore che avevo dentro si accorgesse che ero ancora vivo e ricominciasse a torturarmi”.

La fine del viaggio

La selezione delle testimonianze fin qui riportate è del tutto arbitraria. Risponde ad una personale lettura fatta, oltretutto, per dialogare con degli studenti di Giurisprudenza. Vi sono, dunque, nel libro di Salvati altre parole e altri personaggi che meriterebbero senz’altro di essere analizzati e valorizzati. Una cosa, però, mi preme sottolineare in conclusione.

La fine del viaggio rivela una verità che, tutto sommato, aleggia in ogni rigo del testo. Essa, a mio avviso, è la seguente. Accanto al viaggio materiale, fisico, ve n’è un altro, ugualmente ardimentoso: il viaggio interiore. La maestra dei bambini impauriti ne è, forse, l’esempio più fulgido: “Non capivano [gli altri] che prima di mettere al sicuro i giovani corpi dei bambini era delle loro anime e dei loro sogni che occorreva prendersi cura. Bisognava distrarli, farli giocare con tenerezza, soprattutto in mezzo alle più terribili difficoltà. […] Io, che figli non ne avevo ancora, da brava maestra li riunivo negli angusti spazi del ventre del Pentcho, inventando ogni volta nuovi passatempi, indovinelli, filastrocche”.

Ed è qui l’approdo, che è anche l’approdo della storia che si fa letteratura: aiutare i lettori a penetrare nel fondo della coscienza umana, ad interpretare i bisogni più profondi della società, intuendone concretamente desideri ed aspirazioni.

Insomma, la “conoscenza” di cui si è detto in principio di conversazione, senza la quale non è possibile lo sviluppo di nessuna memoria.

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