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Conosci la storia (per nulla fantastica) del Pentcho? / 1

La storia del battello Pentcho, nome proprio di persona che in ebraico corrisponde al nostro Stefano, da quando è stata riportata alla luce, non smette di turbare ed affascinare contemporaneamente. L’idea del giovane Alexander Citrom di salpare da Bratislava, di navigare il Danubio fino al Mar Nero per arrivare in Palestina, la terra promessa, mettendo in salvo 400 ebrei di diversa provenienza, minacciati questi dall’avanzare della ferocia nazista, data l’epopea che ne derivò, è stata considerata dagli stessi protagonisti una delle esperienze più significative nella vicenda complessiva dell’Olocausto.

Se ne sono occupati finora la ricerca archivistica e una buona documentaristica. D’altra parte, “cinque mesi di navigazione fluviale, blocchi, malfunzionamenti, burocrazia e malaffare, mancanza di rifornimenti, malattie, incidenti; e poi il mare aperto, il naufragio su un’isola deserta, il salvataggio da parte di una nave italiana, un primo internamento a Rodi, un secondo a Ferramonti in Calabria”: una sceneggiatura da oscar, si direbbe, se non che fosse tutto vero! Quella del Pentcho – è stato sottolineato con efficacia – è una storia incredibile che si è disposti ad ascoltare all’infinito, nonostante il finale noto.

Ebbene, in questo contesto, come si colloca Pentcho (Castelvecchi, 2021) di Antonio Salvati?

Va precisato che il libro, il primo dedicato all’argomento sotto forma di romanzo, ha già superato il vaglio della critica. Quindi il suo valore è stato certificato. Riordinando i giudizi della stampa specializzata, si ottiene un quadro a dir poco lusinghiero, sul quale ci si può esercitare efficacemente.

Si è detto, ad esempio, che la storia di Salvati “restituisce sentimenti ed emozioni alla memoria”. Potremmo domandarci: quale memoria? Senz’altro la memoria individuale, i 24 testimoni cui l’Autore dà voce, ma pure la memoria collettiva, che si ricostruisce per il tramite di quelle stesse voci. Da un lato, dunque, biografie individuali ricostruite con perizia sia archivistica sia letteraria; dall’altro lato, invece, percorsi più ampi attraverso i camminamenti della storia generale, cui ci riconduce la narrazione corale.

Non solo la storia, per la verità. Anche il presente, anzi l’attualità. Qualcuno ha splendidamente scritto che la storia di Salvati “illumina gli angoli bui di una cronaca che si ripete”. La bellissima prefazione di Paolo Rumiz, ad esempio, è tutta incentrata su tale aspetto, regalandoci suggestioni feconde. Basti pensare al mito d’Europa che nasce in un’isola (Creta), si concretizza politicamente in un’altra isola (Ventotene) e che in un’isola però rischia di scomparire definitivamente: la Lesbo dei nostri giorni, triste approdo di migranti disperati. Insieme alle contraddizioni del Mediterraneo, inoltre, vi sono le antinomie del Danubio: altro sismografo sensibile delle vibrazioni europee odierne.

Di qui il passo è breve perché si possa parlare del valore della legge e della giustizia, del loro vero senso, del significato che esse assumono allorquando acquisiscano la forma di codici, di trattati internazionali, di accordi, divenendo all’occorrenza strumento di conservazione del potere o di perpetuazione di privilegi; accanto a ciò, la legge non scritta, fatta di consuetudini, pratiche, di norme che nascono all’occorrenza, dettate magari dalla necessità di condividere spazi angusti nella costrizione di un lungo viaggio; e poi, non solo la legge degli uomini ma anche quella della natura, a cominciare dalla legge del mare che pure andrebbe interpretata, con la libertà e i pericoli che vi sono connessi.

Come si può notare, le considerazioni che si propongono vanno molto al di là di ciò che si richiede oggigiorno ad un romanzo: essere ben scritto, proporre una storia avvincente che appassioni il lettore, rispettare le biografie sulle quali si è deciso di lavorare, ambientandole nel loro contesto, descrivendo quindi luoghi e paesaggi con esattezza e dovizia di particolari. E quando si superano i requisiti minimi richiesti dall’editoria nella scrittura di romanzi o racconti, è sempre un bene per il mercato che se ne avvantaggia.

Se dovessi meglio precisare questo “bene aggiuntivo” nel libro di Salvati, a tutto vantaggio dei lettori, ritornerei per un attimo ad una considerazione iniziale posta in capo ai presenti appunti.

La storia di Salvati – si è annotato da penna altrui – restituisce sentimenti ed emozioni alla memoria. Si tratta di un requisito essenziale perché la memoria non si raffreddi nei suoi contenuti, divenendo così valore caldo della società, anzi dell’umanità. Perché tuttavia quel calore si mantenga, occorre che il percorso non sia di sola andata. Occorre cioè che il sentimento e l’emozione, cedendo una quota del loro carattere altrimenti transitorio, accettino di rimanere ancorati alla storia di cui si rendono partecipi, accettino di condividere fino in fondo la conoscenza e la comprensione delle vicende per le quali rappresentano un’importante chiave di accesso. E il libro di Salvati fa proprio questo: àncora un sentimento alla conoscenza. Superfluo precisare che non ci si riferisce alla conoscenza in sé, intesa in termini quantitativi, l’aggiunta di una notizia in più nel proprio bagaglio archivistico, bensì alla conoscenza intima delle cose, viste e comprese nel profondo.

Esemplifico.

Partiamo dal confronto che Rumiz pone in prefazione, mettendo in parallelo la vicenda storica narrata da Salvati e il dramma dei migranti di oggi (profughi di terra o di mare che essi siano non importa). Di questo dramma contemporaneo un aspetto rimane sempre precluso. Benché ci sia dato conoscere l’atrocità dei naufragi, talvolta ripresa in diretta dalle telecamere; benché ci sia dato conoscere la difficoltà dei soccorsi o del recupero dei corpi in mare, il dolore del ritrovamento in spiaggia dei cadaveri, semmai di bambini; benché ci sia dato conoscere le lacune nella politica dell’accoglienza, l’inadeguatezza dei servizi, dell’assistenza e così via; benché tutto questo sia noto, nulla o quasi ci è dato sapere della partenza, dell’inizio del viaggio, dei momenti che precedono e che annunciano il dramma, ivi compresa la descrizione degli stati d’animo di chi si è trovato costretto a partire.

Sotto tale profilo il romanzo di Salvati completa una conoscenza necessaria, indispensabile, anche per chi si vede chiamato adesso a governare le emergenze che nel cuore del Mediterraneo la cronaca giornalistica puntualmente restituisce alla nostra attenzione. La prima sezione del libro, intitolata per l’appunto Partenza, svela di questa praticamente ogni suo aspetto. Le testimonianze letterarie riunite dall’Autore sotto questo titolo sono davvero notevoli. Continua a leggere > clicca qui

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La recensione riprende l’intervento tenuto presso l’Università degli Studi del Sannio il 12 aprile 2022 per la presentazione del libro Pentcho del giudice Antonio Salvati.