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La teoria dell’esperienza: un libro dalla parte dei bambini

Ho avuto contezza del lavoro di Paola Anselmi prima che si desse avvio alle attività della Gesualdo Edizioni. Convinto, infatti, che la vita senza musica sia un errore (e qui la citazione è fin troppo nota), a maggior ragione è dato pensare che quell’errore diventi fatale, o quantomeno imperdonabile, se la vita di cui si parla è la vita dei bambini. Ho sempre ammirato, dunque, e ricercato e seguito con interesse, quanti riescono a fare musica “con e per” i bambini. Compito sicuramente non facile, non solo perché intriso di specialismi educativi e di competenze pedagogiche e artistiche, ma anche perché simili compiti conservano in nuce – non so come dire – la propensione all’abnegazione di se stessi in favore degli altri, dove gli altri sono – per ovvie ragioni – soggetti bisognosi, ovvero meritevoli di crescere e svilupparsi nel miglior modo possibile. Ci sono lavori, insomma, che più di altri sono partecipi della natura propria e tipica delle “missioni”. Questo è vero, almeno in parte, anche per il lavoro editoriale.

Quando è sorta la Gesualdo Edizioni (parlo pertanto di cose dirette), questa non si è data subito degli obiettivi economici, nonostante la sua forma d’impresa. Si è data, appunto, una “missione”. Più di 400 anni fa, grazie alla lungimiranza di un famosissimo Principe madrigalista, Carlo Gesualdo, l’Irpinia dove noi siamo fu luogo di prestigiose edizioni musicali destinate ad essere annoverate nel patrimonio imprescindibile della cultura occidentale. La Gesualdo Edizioni, allora, forte di tale storia, rendendosi oltretutto responsabile della stessa, ha fatto sua l’eredità dell’antica impresa, ricalcandone con spirito nuovo i diversi sentieri. E, per vocazione, ha deciso di mantenere sempre aperta una finestra sulla musica. La musica, aggiungo, in tutte le sue potenzialità espressive.

Di lì a poco sarebbe nata “Cure sonore”, collana diretta da Sabatino Miranda, con un obiettivo editoriale specifico: definire uno spazio di orientamento, di confronto e formazione, in cui fosse possibile attraversare con sicurezza le tante frontiere dell’esperienza musicale in contesti terapeutici, didattici e formativi.

Tra le guide autoriali scelte, proiettate a dare credibilità al progetto, non poteva mancare Paola Anselmi, con Simone Magnoni nella scrittura de La teoria dell’esperienza.

Quanto vere siano le parole che in premessa di testo Beth Bolton rivolge a Paola Anselmi, sottolineandone le doti (“portare, ad esempio, ai bambini emozioni, meraviglia, immaginazione, tenerezza e avventura attraverso la musica”), è cosa che abbiamo sperimentato con la pubblicazione di un primo albo illustrato, curato dall’Anselmi, dal titolo Musica, dove sei?. Avrebbe presto scritto Franca Ferrari, onorandoci non poco, che l’albo abbraccia tutti gli indicatori di qualità: linguaggi integrati, veste dei materiali, concertazione di ruoli diversi. Quest’ultima espressione, “concertazione di ruoli diversi”, forse è la più bella e gratificante, perché indica il percorso condiviso che conduce autori, disegnatori, elaboratori di schede didattiche, di partiture e così via fino all’editore, ad unica meta: creare benefiche connessioni, tanto introspettive quanto esterne, di relazione cioè con gli altri (la famiglia, la scuola, l’ambiente di vita), rendendone partecipi sì i bambini, ma da protagonisti. Piumino e Piumetta, nell’albo Musica, dove sei?, hanno proprio siffatto compito: generare nei bambini sensazioni di stupore e di divertimento, di empatia e di amore, aiutandoli, per il tramite della musica perduta e poi ritrovata, a diventare parte attiva della propria comunità. Costruttori di mondi, si direbbe con afflato poetico; costruttori di futuro si legge nell’intitolazione del primo capitolo del libro La teoria dell’esperienza.

Ecco, l’albo (Musica, dove sei?) e il libro (La teoria dell’esperienza): cosa cambia nel passaggio dall’uno all’altro?

L’albo citato si pone come frutto di un’esperienza, tra i risultati di un metodologia ormai consolidata, messa in opera e condivisa in diversi luoghi non solo d’Italia, chiamata e registrata sotto il marchio di “Musica in culla”. Considerati però gli esiti entusiasmanti che tale metodologia ha prodotto ormai in dieci anni e più di vita, era diventato più che opportuno passare dall’applicazione pratica alla cornice teorica. Operazione di per sé gigantesca, sia perché in questo passaggio viene chiamata in causa la rielaborazione argomentativa di scelte operate sul campo (e la scrittura – si sa – è un esercizio complesso), sia perché si amplia enormemente la platea del confronto. Più precisamente. Una volta che il dialogo intessuto con genitori, educatori e animatori di contesti socio-didattici, viene trasposto sul piano letterario, va da sé che si annoverano, tra gli interlocutori, gli autori di riferimento di una disciplina (Carl Orff, Edwin Gordon, Daniel Stern, Maria Montessori, Beth Bolton) e, tra i destinatari, accanto ad educatori, genitori ecc., studiosi, ricercatori, neuro-scienziati, psicologi e pedagogisti. Di qui la sfida del libro.

Orbene, di questa sfida vorrei mettere in risalto taluni aspetti e farlo in chiave prettamente editoriale, prescindendo cioè dalle intenzioni degli autori. Infatti, dando retta al cuore di questi ultimi, partecipi – si diceva sopra – dell’umiltà tipica delle “missioni educative”, lungi dall’elaborazione di una teoria scientifica nel senso classico del termine, il lavoro sarebbe stato condotto non sul piano tradizionalmente inteso della ricerca, bensì su quello dell’accurata selezione di buone prassi; prassi autentiche, però, ossia sperimentate sul campo e indirizzate – nei proponimenti dei selezionatori – a formare personalità didattiche degne di questo nome. Va avvertito tuttavia, e qui interviene l’autonomia dell’osservazione editoriale, che nell’originale processo di trasformazione di una esperienza professionale propria in strumento didattico altrui, ricco tra l’altro di innumerevoli risvolti pedagogici ed umani, c’è qualcosa di innegabilmente trascendente.

Provo a chiarire l’assunto.

Una qualità che gli autori senz’altro posseggono, facendone dono alle pagine del libro, è quella dell’equilibrio. Il che non vuol dire ricorrere alla cosiddetta “terza via”, che pare essere attributo tipicamente italiano allorquando si è chiamati a scegliere tra modelli alternativi. No, l’equilibrio viene esercitato dagli autori laddove si sono già effettuate delle scelte ben precise, che non ammettono tentennamenti. Mi spiego meglio. Se si tratta di optare tra i diversi stili e modelli caratterizzanti gli ambiti educativi, ivi compreso l’ambito musicale ed artistico riguardante la prima infanzia, Paola Anselmi e Simone Magnoni non hanno dubbi: la didattica tradizionale deve cedere il passo a nuovi percorsi, senza temerne magari la natura sperimentale; e questo perché la centralità del bambino non è sacrificabile rispetto alla didattica normalmente giudicante dell’insegnante. Ciò, però, non vuol dire privare l’insegnante della consapevolezza circa la sua azione educativa. Porre il bambino al centro delle proprie attenzioni significa capirne appieno bisogni e desideri, avvicinarsi a lui significa emozionarsi alla sua maniera, comprendendone carattere ed identità. Tuttavia è nel mantenimento della giusta distanza di osservazione che si verifica l’efficacia del processo educativo, che non richiede in questo senso osmosi (alle emozioni è dedicato un intero capitolo, in cui sono rintracciabili le esperienze condotte leggendo le raccomandazioni di Daniel Stern e Paul Ekman). Da un lato, insomma, la capacità di entrare nel mondo dei piccoli, condividendone le emozioni; dall’altro lato, la capacità di uscirne, per valutarne dall’esterno bisogni e desideri dopo averli di fatto compresi. Come si vede, la dote dell’equilibrio si gioca e viene spesa all’interno di una ponderata scelta di campo.

Lo stesso può dirsi a proposito del tema della musicalità nel bambino, che la ricerca scientifica dice essere presente fin dalla fase di gestazione. Anche qui le idee progressiste sposate dagli autori non vengono mai dissimulate, come quando si preferisce la parola “relazione” alla parola “ascolto” per indicare il sano rapporto del bambino con la musica attraverso l’adulto: senza la necessaria interazione e la dovuta comunicazione con l’adulto si corre il rischio che la musica non venga compresa dal bambino nel profondo e quindi appresa come una competenza. Eppur riconoscendo la vacuità dell’opinione secondo la quale la vera musica sia soltanto quella suonata su uno strumento e la propedeutica musicale una sorta di limbo didattico in attesa dello strumento e delle note scritte, nel momento in cui si va a delineare la figura di “guida informale” idonea ad insegnare musica ai bambini, Paola Anselmi e Simone Magnoni sono categorici: scelta di un repertorio di qualità, consapevolezza circa il tipo di comunicazione sonoro-musicale adottata nei confronti del bambino, considerazione della musica e come mezzo e come obiettivo, sono indicati quali fattori indispensabili, cosicché il cambiamento da “guida informale” a “istruzione formale” finisce coll’essere munito anch’esso di equilibrio.

Vi sono poi nel libro dei “rimandi impliciti”, filtrati è vero attraverso una serie di autori di riferimento nel panorama pedagogico-educativo, ma che costringono il lettore (che sarà di volta in volta diverso per genere, età, provenienza, ecc.) ad attingere al bagaglio delle proprie conoscenze, dei propri percorsi formativi, delle proprie scelte specializzanti. L’implicito di cui si parla, dunque, allude a diversi livelli di lettura corrispondenti ad una stratificazione argomentativa che acquista pienezza di senso sul piano – si direbbe oggi – della interdisciplinarietà, dove è possibile trovare riscontri intorno a ciò di cui si è letto (qualcosa in più, insomma, del meta-testo!). Esemplificando. Se oggi è davvero difficile gestire i mondi emotivi dei bambini, sollecitati come sono da un contesto sociale che li vuole “piccoli adulti” (autonomi, competenti e soprattutto immuni dalle emozioni), è facile convincersi dell’effetto benefico che deriva dalla musica, capace di offrire al bambino la libertà di esprimere il proprio stato emotivo, imparandolo a gestire nel contempo. In simile contesto, però, che gli autori definiscono “piuttosto scontato” (nessuno mai negherà infatti che il suono sia un potentissimo attivatore emotivo, in termini di pianto o di sorriso non importa!), Paola Anselmi aggiunge “qualcosa di bello”: la capacità di essere estremamente espressivi attraverso il corpo, la voce, il viso, lo sguardo. L’espressività, non solo nel corso di un racconto, ma anche di una proposta musicale, è quella che più efficacemente conduce i bambini all’ascolto, alla compartecipazione, alla relazione con se stessi e con gli altri. E se è la citazione di Eckhart Tolle a ricordarci che l’emozione sorge laddove corpo e mente si incontrano, non può il pensiero di un editore non ripercorrere tutti quei movimenti novecenteschi che si sono dimostrati perplessi verso la pretesa cartesiana di separare il corpo dalla mente, riflettendo in maniera innovativa sul peso dell’emotività all’interno di ogni singola esperienza.

Ugualmente può dirsi per la metafora dell’albero, immagine portante dell’intero lavoro, come recita pure la quarta di copertina. “Musica in culla”, si afferma, era un seme che, nutrito nel tempo da tante menti e da tanti cuori, accomunati evidentemente dalla medesima passione musicale ed educativa, è cresciuto fino a diventare il grande albero che è. Il capitolo quarto del libro entrerà nel dettaglio spiegando – di quell’albero – le forti radici, la robustezza del tronco, i rami lunghi e variamente intrecciati, dai frutti sempre nuovi. La mente di un editore allora non può che spingersi lontano, guardando dall’alto tutti gli alberi della vita che hanno caratterizzato la storia dell’umanità, dall’albero mosaicato di Pantaleone nella cattedrale di Otranto a quelli piantati nelle piazze dei paesi, segno di una magica alleanza finalizzata allo sviluppo armonico delle cose.

Di questa alleanza, Paola Anselmi e Simone Magnoni ci offrono alcuni dati strutturali: le modalità di approccio ai bambini, l’equilibrio tra la parola e la musica in siffatto approccio, la coerenza tra il dire e il fare, il mantenimento di siffatta coerenza nel corso della vita; e ancora: il movimento e l’uso del corpo, l’importanza della voce (fin da quando la mamma parla in grembo al proprio bambino), il ruolo del respiro nel mondo emotivo ed espressivo del bambino e in ambito musicale, non meno della fantasia e dell’immaginazione. Quattro superpoteri, come gli autori sottolineano, che si traducono in quattro tappe nell’apprendimento del linguaggio musicale da parte del bambino: il ricevere, l’agire, l’interagire, l’esprimersi autonomamente.

Ciò che si ripete qui a mo’ di titolo, in verità, corrisponde a precise scelte di campo cui gli autori sottopongono l’ambito musicale, attingendo alla pedagogia (dalla pedagogia della risonanza, secondo la definizione di Hartmut Rosa, alla pedagogia dell’errore, secondo la definizione di Maria Montessori), alla musicoterapia (allorquando si utilizzano in chiave didattica i parametri e le fasi del cosiddetto “Dialogo sonoro”), alla psicologia (come dimostra il bel saggio conclusivo di Valentina Berlanda).

Precise scelte di campo, dunque. Si ritorna per questa via alle osservazioni iniziali. In che modo, però, si ritorna ad esse?

Ci si sente di poter affermare che i passaggi dall’uno all’altro capitolo del testo sono scanditi veramente da ritmi sonori dialogici. Dal valore dell’osservazione al valore dell’ascolto e del tatto, dal ruolo della musica a quello del silenzio, dalla creazione di cornici sonore (entro le quali il bambino reagisce ed interagisce liberamente) al lavoro compiuto sulla motivazione e sulla creazione di aspettative: tutto nel libro si muove come in una danza e l’adulto guidato alla conoscenza del bambino che ha di fronte finirà col comprendere meglio se stesso.

Non solo.

Se è vero che nelle intenzioni degli autori il racconto di quanto descritto finora doveva assumere le forme quasi di un diario, in cui annotare le fasi di un lavoro condotto a volte in coppia a volte in team, entrando fin dentro l’attualità determinata dall’emergenza sanitaria, si tenga presente sempre l’imprescindibilità dell’elemento trascendentale, che l’editore individua e colloca nella futura definizione di una vera e propria scuola di pensiero.

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La parte introduttiva del presente scritto è la trascrizione curata da Paolo Di Castro del mio intervento nell’ambito dell’incontro di presentazione del libro “La Teoria dell’esperienza” (Gesualdo Edizioni) organizzato dall’Accademia Dimensione Musica di Lainate (MI) il 21 gennaio 2022.