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Il “Ponte rotto” sul fiume Calore. In difesa della progettazione culturale

Sul tema della progettazione culturale ad opera dei Comuni dura da tempo un acceso dibattito, connotato da una certa sfiducia, che tende a evidenziare un cattivo modo di agire delle “giunte” in relazione alle comunità amministrate. Le amministrazioni comunali, si dice, anziché desiderare, progettare e realizzare una politica di sviluppo, finiscono col captare i finanziamenti pubblici contingenti, quelli disponibili al momento, senza però saperli governare strutturalmente, bensì “subendoli” in modo del tutto episodico e occasionale.

È vero senz’altro che nei centri decisionali e di potere raramente si distingue tra sviluppo economico e crescita culturale, trascurandosi volentieri le implicazioni umane derivanti da un turismo inteso non come semplice passeggiata, ma come “incontro rivelatore”, capace di indurre chiunque – attraverso il confronto – a comprendere meglio se stesso, i valori che lo hanno formato, i fondamenti della propria personalità. Tuttavia è possibile raccontare a volte (e per fortuna) storie diverse.

Insieme agli amici Raffaele Villanova e Pasquale Moscillo, sono stato coinvolto nell’organizzazione di un Premio che da circa un decennio si svolge in terra sannita. Formalmente intitolato ai resti archeologici di un antico ponte romano sul fiume Calore, nel tratto sannitico-irpino della via Appia, ben si prestava il premio alla valorizzazione sostanziale di un bene culturale meritevole certamente di essere (ri)conosciuto.

Il ponte in questione, noto come “Ponte rotto”, era uno spettacolare ponte-viadotto lungo circa 142 metri e alto (nella parte centrale) circa 13 metri. Voluto probabilmente dall’imperatore Traiano, esso consentiva materialmente il passaggio della via Appia dal Sannio all’Irpinia, per giungere a Venosa, Taranto e Brindisi. Facile immaginare, allora, la ragione per cui la costruzione s’impose presto come asse di sviluppo per l’economia antica di tutta l’Italia meridionale (su tale tragitto, infatti, circolavano i numerosi prodotti che dalla Grecia giungevano a Roma).

Si è partiti da qui per un restyling del “Premio”, che è consistito nella sua completa rielaborazione. Questa si è tradotta nell’ideazione di una serie di appuntamenti istituzionali, letterari e artistici che, concatenati tra loro, dovevano essere in grado di rileggere il passato storico del territorio di riferimento, declinandolo però in chiave attuale, al servizio di un turismo tematico di qualità. Il premio, insomma, sarebbe dovuto diventare il punto d’arrivo di un percorso di scoperta; scoperta di un paesaggio inteso quale sintesi complessiva e unitaria di valori estetici, ambientali, sociali, economici e storico-culturali.

Riassumo i principali passaggi dell’operazione compiuta.

Grazie alla collaborazione con autorevoli esponenti del Mibact, dell’Università del Sannio e di Federculture, abbiamo avviato come prima cosa un laboratorio di progettazione per la valorizzazione turistico-culturale, con un focus riguardante l’importanza delle strade consolari, intese appunto quali preziosi “itinerari di scoperta”.

Avendo toccato anche il tema del “recupero spettacolare” delle fonti, ci si è messi subito all’opera per trarre una sceneggiatura teatrale da antichi documenti di archivio. Questi ultimi hanno restituito un’interessante vicenda processuale legata al nostro oggetto di narrazione progettuale. Si è scoperto infatti che nei pressi del ponte appiano, intorno alla metà del 1600, abitava una giovane donna di nome Bianca, coltivatrice di erbe officinali e mediche. Colpevole di essere troppo bella nonché amante di un uomo sposato, Bianca sarebbe stata accusata di stregoneria e quindi arsa viva, giacché condannata al rogo. Con trenta attori, un coro di musiche rinascimentali e un gioco sapiente di luci, si è allestito uno spettacolo teatrale notturno, devo aggiungere emozionante, preceduto e seguito da due incontri di approfondimento.

La ricomposizione ancora delle molte e diverse storie ricollegabili all’antico ponte e alla via Appia, ai tanti uomini che nei secoli l’hanno percorsa, studiata e amata, è avvenuta per il tramite di taluni storytelling, anche questi affidati a personaggi d’eccezione: volti noti dello spettacolo, del giornalismo e della letteratura. I racconti sono stati sempre accompagnati da colonne sonore originali, composte per l’occasione ed eseguite dal vivo dal Notturno Concertante, band protagonista dell’etno-rock progressive italiano.

Nella serata conclusiva, dopo un mese e oltre di programmazione, altri testimonial internazionali si sono aggiunti ai precedenti (da Paolo Rumiz a Barbara Alberti, da Daniela Poggi a Giuliana De Sio, da Giancarlo Giannini a Ray Wilson, l’ultima grande voce dei Genesis). Ciascuno si è fatto portavoce del progetto e delle molteplici istanze collegate ad esso.

È stata un’esperienza a dir poco entusiasmante. Se dovessi sintetizzare la principale lezione che ne ho ricavato, citerei i seguenti passaggi: le strategie per il territorio, soprattutto se pretendono di essere di lungo periodo, esigono innanzitutto decisioni faticose per selezionare ciò che conta davvero; autorevolezza poi nel formulare scelte difficili, persuadendo i cittadini ad affrontarle con argomentazioni serie; e, infine, sinergia e impegno per mettere in atto operazioni che si prospettano essere buone per la collettività. (Riproduzione riservata©).