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Valorizzare o banalizzare? Questo è il problema

L’Italia, soprattutto quella che amiamo definire minore, quella cioè dei piccoli comuni, vanta un patrimonio culturale ineguagliabile, eppure spesso ci si trova a gestirlo con una visione miope, incapace di restituire ai luoghi la loro piena dignità. Il caso ultimo di Villa delle Ginestre, storica dimora di Giacomo Leopardi a Torre del Greco, è un esempio lampante di questa tendenza. La decisione di ospitare al suo interno un museo dedicato ai trenini e ai giocattoli ha suscitato non poche perplessità e soprattutto l’indignazione di chi considera giustamente questa dimora un simbolo della riflessione leopardiana sulla condizione umana e sul rapporto tra arte e natura.

Villa delle Ginestre – va da sé – è molto più di una semplice residenza storica: è uno spazio che ha ospitato un momento alto della produzione poetica di Leopardi, che proprio lì ha dato vita ad una delle sue riflessioni più intense sulla fragilità umana e sulla necessaria umiltà che occorre si conservi dinanzi all’immensità dell’universo. Destinare un luogo tanto significativo a contenere una collezione di giocattoli significa svuotarlo di valore, riducendolo a sede espositiva qualsiasi, senza un chiaro legame con la sua storia e il suo significato.

Siffatto episodio s’inserisce in una problematica più ampia che riguarda la gestione del patrimonio culturale in Italia. Troppo frequentemente infatti il patrimonio culturale viene da noi trattato con superficialità, senza un piano che ne esalti la funzione originaria. Le istituzioni, anziché investire in progetti di respiro, preferiscono soluzioni di facile richiamo, ignorando il potenziale dei beni ricevuti in eredità, di cui hanno la fortunata gestione.

Si assiste così a una progressiva banalizzazione della cultura ridotta a mero intrattenimento, senza alcuna connessione con dimensioni critiche e formative. Tale atteggiamento si manifesta non solo nelle scelte di gestione dei luoghi storici, ma pure nella propensione a ridurre figure fondamentali a semplici icone depurate della loro complessità e profondità di pensiero.

Si torna a sottolineare che la vicenda di Villa delle Ginestre è soltanto un tassello di una questione generale che riguarda il modo in cui tendiamo a rapportarci al patrimonio culturale, ridotto a spazio pressoché neutro, buono per qualsiasi tipo di iniziativa, privo quindi di una forte identità.

Invocare un cambiamento di prospettiva mi sembra doveroso, mi sembra anzi il minimo che si possa e debba pretendere. Le istituzioni devono imparare a riflettere sui propri limiti, spesso dettati dalla logica dell’immediato ritorno economico, educandosi finalmente a strategie degne, capaci di rendere i luoghi storici centri di cultura vivi e dinamici. Il che significa investire in progetti coerenti con la storia e il significato di ciascun sito, coinvolgendo esperti, studiosi e comunità locali nella definizione di percorsi condivisi.

Il caso di Villa delle Ginestre, allora, rappresenta per tutti una sfida cruciale nella gestione del patrimonio culturale; una gestione che non può prescindere dal seguente obiettivo: restituire ad ogni luogo la sua voce, la sua identità nonché la capacità di parlare alle generazioni presenti e future.

P.S. Credo che chiunque, leggendo queste osservazioni, avrà la possibilità di farle sue in relazione a tanti beni fondamentali che caratterizzano il proprio contesto di vita o di lavoro. Ammetto, per onestà intellettuale, che scrivendo di Villa delle Ginestre ho pensato al Castello di Gesualdo, cui auguro miglior fortuna.