Romanzo senza umani
L’incontro con Paolo Di Paolo è stato illuminante. La lettura del suo libro, Romanzo senza umani, si è rivelata un vero colpo di scena. Un mio amico, con sorriso complice, me lo ha regalato dicendomi: “Non può non piacerti”. E si riferiva a me, un professore di storia sulla cinquantina, formatosi sui temi del Cinquecento, che ha esplorato la memoria individuale e collettiva, argomenti cari allo stesso Di Paolo. Aveva dunque ragione l’amico nel pensare che il libro potesse incuriosirmi per una serie di dati esterni, ma devo precisare che la scintilla del coinvolgimento è scattata per ben altri motivi. Poterne parlare direttamente con l’Autore mi ha dato più di una conferma.
Come appassionato di scrittura, considero lo stile un criterio fondamentale di giudizio, anche se spesso ci si dimentica della sua importanza. Ebbene, sotto questo aspetto, il romanzo di Di Paolo non delude: la sua prosa affascina e coinvolge, alternando toni colloquiali e ironici a toni antichi ed eleganti, a seconda che a prendere la voce sia il protagonista o l’ambiente che lo circonda. L’attrazione verso il libro inoltre è legata alla capacità di rispondere a quesiti esistenziali, domande che emergono ciclicamente e che talvolta rimangono senza risposta, cambiando magari forma col passare degli anni. In questo senso, il libro diventa una guida verso orizzonti che è utile esplorare.
Il protagonista, Mauro Barbi, storico di professione, riflette su ciò che accade quando si raggiungono i cinquant’anni, un’età in cui si fanno i primi veri bilanci e si comincia a riconsiderare quanto si è lasciato alle spalle. Molti eventi del proprio passato riemergono, chiedendo di essere compresi. Barbi, grazie alla sua professione, non parte proprio da zero: da anni studia un episodio storico curioso, il congelamento del lago di Costanza tra il 1572 e il 1573, fenomeno associato alla cosiddetta Piccola Età Glaciale. Le fonti parlano di uccelli congelati in volo, di vino che ghiaccia, di un governatore perso nella nebbia e di uomini trasformati in statue di ghiaccio: tutte immagini che Di Paolo rievoca nelle pagine iniziali del suo lavoro.
E, allora, ci si domanda: Costanza, oggi meta turistica apprezzata, che memoria conserva di quell’inverno eccezionale? E, più in generale, come possono i luoghi tranquilli di oggi trasmettere le paure di cinquecento anni fa?
Barbi, in qualità di storico, si interroga su come recuperare voci e testimonianze che sfuggono ai documenti ufficiali, intraprendendo un viaggio dagli esiti niente affatto scontati.
Accanto al viaggio di ricerca storica, però, ci si confronta con un altro tipo di percorso: una complicata esplorazione interiore. Il lago di Costanza diventa una potente metafora del congelamento emotivo, un freddo esistenziale che dura da troppo tempo e che attende di sciogliersi. Anche se il disgelo potrebbe portare alla luce emozioni sopite, paure e insicurezze mai affrontate pienamente, con un potenziale esplosivo e imprevedibile.
Spinto da questa consapevolezza, il protagonista decide di uscire dalla sicurezza di biblioteche e archivi per confrontarsi con chi ha fatto parte della sua vita: amici, colleghi, vecchi professori e amori trascorsi. Barbi si chiede cosa queste persone ricordino di lui e se le loro testimonianze confermino l’immagine che lui stesso ha di sé. La ricerca diventa un viaggio attraverso la memoria collettiva e personale, nel desiderato equilibrio tra ciò che è stato e ciò che ancora può essere.
Si sa che porre domande su se stessi, come fanno gli storici con i fatti, implica di accettare il rischio di risposte dolorose. Tuttavia, anche queste risposte, per quanto scomode, aiutano a ricomporre il puzzle della nostra identità.
Non è facile dire se il movente di Barbi sia il narcisismo, la solitudine, il rimpianto o la speranza. Di Paolo non traccia confini netti per il suo protagonista, lasciandolo libero di esplorare il proprio passato senza una chiara direzione. Certo è che comprendere se stessi è un processo complesso, che richiede anche di guardarsi attraverso lo sguardo degli altri e quello del paesaggio circostante.
Il paesaggio infatti, in questo romanzo, non è solo uno sfondo, ma un codice per interpretare la vita, un luogo dove il passato si mescola al presente. Il lago di Costanza, con la sua storia, diventa simbolo di permanenza, un bacino dove qualcosa rimane anche quando tutto sembra sfuggire.
Di Paolo ci invita a riflettere sulle “glaciazioni” delle nostre vite, sulle tempeste emotive e le siccità della speranza. Ma ci parla anche del disgelo, quel momento in cui tutto torna alla luce, costringendoci a confrontarci con ciò che abbiamo nascosto troppo a lungo.
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