Della pubblica clandestinità: Floriano Del Zio
La «pubblica clandestinità» è un ossimoro assai efficace per illustrare un dato caratterizzante la vita di Floriano Del Zio. Intendo con ciò far riferimento ad un particolare atteggiamento imposto dal XIX secolo a molti intellettuali desiderosi di lottare per l’affermazione delle proprie idee. Parlo, più precisamente, della necessità di mantenere «sotto coperta» la «misura pubblica» di un pensiero, in attesa di tempi disposti ad accoglierne tutta la levatura etica e politica; parlo altresì dell’aspirazione a partecipare alla costruzione del futuro immaginato, percorrendo però strade alternative rispetto a quelle ufficiali, perché costretti dal loro presente ad aggirare divieti, evitare censure, schivare sospetti e così via. La biografia di Del Zio sotto questo profilo è davvero emblematica.
1.
Nato a Melfi il 2 aprile del 1831, l’illustre studioso respirò da subito in famiglia l’aria rivoluzionaria: un fratello del padre, infatti, dopo aver preso parte alla battaglia di Tolentino contro gli Austriaci militando nell’esercito di Gioacchino Murat, aveva vissuto in prima linea l’esperienza carbonara del 1820-21 e la parentesi costituzionalista del 1848, la quale ultima incise notevolmente sul percorso formativo di Del Zio. Basti dire che Floriano fu tacciato di «simpatie liberali» prestissimo, da giovane studente presso il seminario di Melfi. E da allora il «sospetto politico» non l’avrebbe più abbandonato: non certo durante il periodo degli studi universitari in giurisprudenza compiuti a Napoli, dove la polizia borbonica non smise mai di guardarlo a vista; non certo dopo il conseguimento della laurea, quando gli fu negata la licenza al pubblico insegnamento. Tuttavia una fitta rete di protezioni, di origine ora familiare ora lucana, gli garantì la possibilità di passare indenne la restaurazione del 1849 e di condividere con personalità di spicco il pesante clima culturale che ne derivò. Penso ad Enrico Pessina, ad esempio, di cui Del Zio frequentò la famosa scuola privata, e poi a Marselli, a Persico, a Racioppi, a Turchiarulo, a Salvetti, tra gli esponenti di punta del pensiero liberale partenopeo. Il che, di per sé, porta a sottolineare che la diffidenza borbonica nutrita nei confronti di Floriano Del Zio era ampiamente giustificata. La riprova risiede nel fatto che lo stesso studioso ebbe modo di confidare più tardi a Bertrando Spaventa che la cospirazione contro il governo aveva costituito uno dei suoi principali obiettivi, mentre le lezioni di filosofia che egli aveva impartito privatamente, lungi dall’essere innocue, avevano avuto in realtà il precipuo scopo di sobillare i giovani, diffondendo fra questi il germe di idee nuove; come quando aveva fatto giungere da Genova, con l’intento di introdurla negli ambienti meridionali, una contestatissima opera (La religione del secolo XIX) di Cristoforo Bonavino, noto con lo pseudonimo di Ausonio Franchi, subendo così pure da parte ecclesiastica una nutrita serie di sospetti, controlli e persecuzioni.
Inutile dire che questa lotta patriottica fu mantenuta inalterata fino alle soglie dell’Unità, senza disdegnare «incarichi militari». Membro prima del «Comitato d’ordine», poi del «Comitato d’azione», Del Zio partecipò alle imprese della «Brigata lucana», fu commissario insurrezionale nei più importanti centri della Basilicata e, dopo aver animato sia un’infinità di resistenze popolari sia un gran numero di giunte rivoluzionarie, il 30 agosto 1860 nella cattedrale di Melfi fu lui a proclamare Vittorio Emanuele re d’Italia. Di qui il suo ritorno a Napoli e l’inizio di una nuova vita.
2.
Credo che quella data (il 30 agosto 1860) possa essere caricata di un forte valore simbolico, rappresentando uno spartiacque anche nel pensiero filosofico di Del Zio. Questi fu cultore insigne di Hegel, del cui sistema privilegiò soprattutto l’estetica e la filosofia della storia. Si sa bene, però, che sposare l’idealismo hegeliano durante il periodo preunitario comportò – come ineluttabile conseguenza – l’assunzione di precise responsabilità, ovvero il compimento di precise scelte di campo, non solo sul piano dottrinale. Come dire, dichiararsi hegeliani allora significava al tempo stesso schierarsi dal punto di vista politico, economico, sociale e proclamarsi anti-giobertiani o filo-mazziniani, anti-francesi o filo-tedeschi e si potrebbe continuare. Raggiunta l’Unità, invece, l’hegelismo – che Floriano Del Zio coltivò nel suo aspetto ortodosso – poté spogliarsi della sua «carica libertaria», volta cioè all’abbattimento dei restaurati regimi, ed essere declinato in chiave nazionale, indirizzato cioè alla costruzione dello Stato italiano o, meglio, all’edificazione del suo «spirito», nel quadro delle esperienze europee. Tanto è vero che, nella seconda fase, nominato docente di filosofia ed etica presso i Licei di Cagliari e Ferrara e presso l’Università di Pisa, gli sforzi di Del Zio furono rivolti non tanto all’elaborazione autentica del pensiero di Hegel, quanto alla lettura critica dei suoi interpreti (dal Vera al Tari, dal Werder al Michelet).
Allora, non possono non cogliersi simili riflessi nella predicazione di un «idealismo assoluto» inteso quale «sistema perfetto», privo di contraddizioni, dove gli opposti erano destinati a riconciliarsi, dove tutte le istituzioni (politiche, religiose e civili) si sarebbero ritemprate alla fonte di una «logica» innovatrice capace di superare finalmente – con metodo rigorosamente scientifico – gli steccati esistenti tra Dio e Scienza, Fede e Ragione, Legge e Morale, Autorità e Giustizia. D’altra parte, memorabili rimangono le dispute dogmatiche con le quali Del Zio pretese di difendere Hegel dalle accuse di ateismo, dimostrando anzi come quella filosofia si accordasse [potesse accordarsi] con la religione cristiana.
3.
L’uscita dalla «clandestinità» di Floriano Del Zio, nel modo in cui si è detto fin qui, corrispose al suo ingresso in politica. Egli fu eletto Deputato nei banchi della Sinistra dalla IX alla XV legislatura (1865-1882) per i collegi di Melfi, Tricarico e Potenza III, per poi essere nominato Senatore del Regno nel 1891 (nomina, è bene precisare, che egli accettò sotto il peso di notevoli sacrifici economici!).
In quegli anni l’impiego parlamentare fu per Del Zio totalizzante, anche rispetto alla sua attività di studio e di insegnamento (presso il Liceo di Ferrara, ad esempio, dove fu nominato professore di filosofia nel 1865, Del Zio non prese mai servizio).
Ricostruire il lavoro svolto da Floriano Del Zio nelle aule del Parlamento italiano è cosa alquanto complicata, data la vastità degli argomenti da lui toccati. Certo, la cornice ideale entro cui iscrivere i suoi interventi è univoca. Il punto teorico da cui partire, di matrice tanto hegeliana quanto vichiana, era il seguente: l’unità politica italiana, un tempo fondata sull’unità dell’Impero e della Chiesa, doveva adesso essere garantita dall’unità della «Scienza», la sola in grado di inserire razionalmente la storia nazionale in un circuito universale retto dai principi di verità e giustizia, di uguaglianza e fratellanza, che si volevano comuni a tutti i popoli. Di qui l’importanza assunta nel progetto politico di Del Zio dall’istruzione, necessaria per veicolare la sua «idea costituente», insieme però ad una molteplicità di altri fattori. Tra questi citerei l’associazionismo, il voto popolare, l’economia ed i lavori pubblici: tutti elementi tra loro concatenati. Pertanto, se la scuola era il pilastro su cui far poggiare la circolazione dei valori democratici, la tenuta degli stessi doveva essere corroborata dalla presenza su tutto il territorio italiano di una fitta rete di circoli, comitati, associazioni: vere e proprie palestre di vita civile secondo l’insegnamento di due riconosciuti maestri, Giuseppe Ferrari e Giuseppe Mazzini, cui Floriano Del Zio non smise mai di richiamarsi. Si riteneva, dunque, che in quelle «organizzazioni sociali», non escluse le redazioni di giornali e riviste, mediante serrati dibattiti e continui confronti, sarebbe presto maturata una nuova consapevolezza intorno a «questioni sensibili», cominciando – perché no? – dal corretto utilizzo del voto popolare, il vero strumento – diceva Del Zio – per assicurare il miglioramento delle condizioni umane nonché l’affermazione della giustizia sociale. Obiettivi il cui raggiungimento ogni governo avrebbe dovuto agevolare sia promuovendo opportune riforme economiche sia finanziando indispensabili lavori pubblici, essendo le une e gli altri funzionali alla cementificazione dell’Unità appena raggiunta.
Sul piano tecnico-legislativo tali idee furono riversate nella discussione su importanti temi, quali quelli legati alla questione romana, alla legge sulle guarentigie, alla costruzione di strade ferrate, alle politiche di bilancio e – cessato già il suo mandato – all’istituzione di una cattedra di Filosofia della storia presso l’Università di Roma. Sullo sfondo, invece, neanche a dirsi, il tentativo di risollevare le sorti pericolosamente compromesse delle popolazioni meridionali.
4.
Tutto questo impegno assume maggiore significato se inquadrato nella vita complessiva di Floriano Del Zio: per semplicità e modestia più unica che rara, ebbe a dire Giustino Fortunato. E nei ricordi pubblici successivi alla sua morte, avvenuta a Roma il 1° febbraio 1914, la povertà dell’insigne italiano dalle robuste radici lucane sarà un dato richiamato con costanza d’intenti, unitamente alla rievocazione del suo pensiero e unitamente all’esaltazione della sua azione – prima patriottica, poi politica – condotta in difesa sempre della libertà, di quella «libertà che risana ogni piaga, ricollocando i popoli oppressi o sviati nella gran corrente del progresso generale» (sono parole lette da Del Zio nel Palazzo Vecchio di Firenze capitale).
Basterebbe forse solo questo a giustificare lo studio di Floriano Del Zio nei tempi attuali, pur lontani dall’idealismo hegeliano e dalla perfezione assoluta dei sistemi concettuali. Ecco perché, in conclusione, diremo che senza alcuna difficoltà si potrebbero sottoscrivere ancora le meditate parole commemorative che il Filomusi Guelfi pronunciò in Senato: «A questo esempio di virilità del pensiero fino alla tarda vecchiezza, io fo omaggio e mi auguro che questo esempio del vecchio filosofo possa valere anche per combattere quella specie di scetticismo che tarla l’animo, specialmente dei più giovani».
____________________________________
Viene riportato sopra l’intervento al Convegno dedicato ai “Lucani illustri” patrocinato fra gli altri dall’Università della Basilicata; intervento confluito poi, con modifiche, negli Scritti per Antonio Federico Scola.