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La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin: il regalo di Enrico Ianniello all’Irpinia / 4

8) Premonizioni: come si ricostruisce una memoria

Quanto descritto fin qui ha a che fare col tema delicato della “memoria” intesa quale strumento di produzione e trasmissione di “saperi”, inquadrata quindi nella sua dimensione oggettiva di possesso e certezza. Ianniello, tuttavia, dedica spazio anche alla dimensione più propriamente moderna della memoria, quella interiore e soggettiva, incentrata sulla faticosa ricomposizione delle coscienze individuali e collettive. Capita così che nell’economia del racconto il “gioco dell’effervescenza”, dello “scambio di bollicine”, ceda il passo al “gioco delle premonizioni”.

Chiunque abbia vissuto in prima persona il sisma del 1980, ma il discorso potrebbe valere per ogni evento traumatico, sa benissimo che nella ricostruzione d’insieme della vicenda si è soliti raccontare non solo l’accaduto in sé e le ore immediatamente successive, scandite dall’emergenza, bensì i “precedenti” e le “anticipazioni”. Si ricorda allora esattamente cosa si stesse facendo nei momenti che precedettero la terribile scossa e cosa, in fondo, l’anticipò. Nella narrazione del terremoto, infatti, capita di ascoltare spesso espressioni del tipo: “Quel giorno faceva un gran caldo”, oppure: “La natura sembrava immobile”, o ancora: “Gli animali erano stranamente irrequieti”. Senza contare poi il numero di sogni premonitori e di sensazioni insolite. Sotto questo profilo, il romanzo di Ianniello può considerarsi esaustivo. Gli esempi adducibili sono numerosi.

Nel tragitto costellato di giochi che separa la fontana di Mattinella dalla spiaggia di Mattinata, diventerà realtà il sogno ricorrente che preannuncia a Marella la sua paralisi spastica: cadere a causa di gambe fatte di farina o non potersi muovere per la rigidità di gambe fatte di legno. Il che suonerà come cattivo presagio per il resto della compagnia. Anzi, dopo i primi spasmi di Marella, l’alba tingerà la casa di Isidoro di grigio scuro, non più di speranza, mentre il preparato per la domenica di festa diventerà ai suoi occhi “roba senza vita” coperta per questo da lenzuoli bianchi.

Comunque, i principali segni premonitori si colgono attraverso il mondo animale.

La domenica del concerto, sulla strada per arrivare a Lacedonia, lasciati in panne dalla macchina di Nocella, la campagna di Bisaccia si popolerà degli uccelli dell’alta Irpinia (piccioni, passerotti, tortorelle, falchetti, nibbi, bianconi, rondini, cicogne bianche e cicogne nere) richiamati da un fischio di prova del piccolo Isidoro. E dinanzi ad una frase urlafischiata dallo stesso Isidoro (“vorrei essere come voi”), la risposta non si farà attendere: “Tu sei già come noi”. D’altra parte, Alì lo aveva in precedenza salutato in modo enigmatico: “Ci vedremo presto, in un mondo nuovo, in un mondo diverso”.

Nella domenica del 23 novembre 1980, calda come non mai, ritorna la spensieratezza della domenica di qualche tempo prima, quando Isidoro e Nocella avevano presentato la novità del loro “fischiabolario” durante il pranzo delle nozze civili di Quirino e Stella. Fu un successo coronato di applausi. Questi, dice Isidoro, fecero tremare la casa come un terremoto, ma cosa poteva accadere? La casa dopotutto era fatta di pietra ed era in piedi da quasi trecento anni!

9) Novanta secondi dura l’infanzia

Accadrà invece che le pietre si separeranno dalla malta e i mattoni dal cemento: la descrizione che Ianniello compie del terremoto, nel suo concreto realizzarsi, è dotata di rara potenza. Il capitolo conclusivo della prima parte e quello iniziale della seconda, data la loro bellezza, meritano di essere letti più che spiegati. Su di essi la meditazione che il lettore è spronato a compiere, soprattutto se ha vissuto in prima persona le vicende narrate, si colora di profonda commozione, mentre “le lettere d’amore scritte in bagno” da Quirino assumono – non si svelerà qui la ragione – il “peso istituzionale” che esse meritano in virtù del loro contenuto: l’amore per Stella e per Isidoro, la passione per Bach, la stima per il presidente Pertini, la necessità di un dialogo tra l’uomo e Dio, il bisogno di parlare a se stesso (vera parafrasi di alcuni versi tratti da “Gli strumenti umani” di Vittorio Sereni).

Il romanzo, nella seconda parte, costituendo il terremoto il più grande “sparte e capisce” nella giovane vita di Isidoro, acquista un ritmo più veloce, sostenuto, e la scrittura di Ianniello si rende consapevolmente partecipe di taluni espedienti di natura teatrale.

In rapida progressione: Isidoro, sopravvissuto miracolosamente al terremoto, salvato in pratica dai suoi amici uccelli, rimarrà completamente solo. Perduta la parola, gli resterà il fischio per comunicare. Se i giorni immediatamente successivi alla tragedia li trascorrerà in una palestra adibita a rifugio, con centinaia di altri sfollati, i quattro anni dopo li trascorrerà in un orfanotrofio. La storia di Isidoro è comune a quella realmente patita da molti bambini irpini. Renata, crocerossina di ventisei anni, buona, premurosa e affabile, emblema del buon volontariato, diventerà la sua figura di riferimento. Il testimone infine sarà raccolto dal signor Enzo detto “Cecòf”, un vecchio apparentemente cieco, personaggio misterioso dunque, che deciderà di prendere Isidoro in affidamento portandolo con sé nella sua casa di Monte di Dio a Napoli. La descrizione dei mille colori dell’Irpinia ha lasciato ormai il passo alla descrizione dei mille colori di Napoli. 

In questa veloce sintesi della seconda parte del romanzo, due cose meritano di essere segnalate con maggiore attenzione.

La prima. Da Renata Isidoro imparerà l’amore per la lettura: “Nelle pagine dei bei libri – dirà – ci sta scritta la vita che non si riesce a dire; nelle pagine dei libri belli la parola è un segno nero che si muove, si disegna, fa delle curve, delle linee dritte, dei cerchi, e tutti quei segni astratti significano di più di quello che veramente è la vita che tieni attorno, quando alzi gli occhi dal libro. Anzi, è di più e di meno allo stesso tempo, cambia anche lo spazio che tieni attorno e questo assomigliava ai miei fischi, che erano un segno di suono astratto, a volte bianco, a volte azzurro, a volte giallo, che volava nell’aria, e pure lui ero allo stesso tempo di più e di meno della vita vera”.

La seconda. Da Cecòf Isidoro imparerà un’altra verità: “Vivere sappiamo vivere tutti, ma raccontare il mondo no, è un’arte sopraffina, la ricreazione del tutto; il mondo non esiste affatto se non c’è qualcuno che lo sminuzzi, lo faccia diventare polvere, e poi ci soffi sopra; se non c’è nessuno che trasformi la materia in canto, danza, fischio, ode – o parodia – poesia, romanzo, gioco di parole”.

Già, le parole! Le parole secche e terrose dei contadini d’Irpinia; le parole divertenti di Nocella e quelle scientifiche di Renò; le parole riflessive e sentimentali di Quirino e quelle morbide e chiare di Stella che, dopo aver diluito il suo passato tra le parole di un libro, non aveva rinunciato a scrivere in calce ad esso una premurosa massima materna: ognuno può vivere come vuole; una massima destinata a rimbombare nel cuore di chi non avrebbe avuto una vita facile da raccontare.

P.S. Con il romanzo di Enrico Ianniello l’Irpinia del terremoto smette di commemorare se stessa per rendersi partecipe di un nuovo stile: il realismo magico che le appartiene. 

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